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Music in Black intervista BUNNA e MADASKI con il nuovo lavoro ‘Il Punto di Partenza’

Dopo cinque anni tornate con il nuovo album ‘Il Punto di Partenza’. Cosa è cambiato e cosa c’è di nuovo?

Madaski: il nostro approccio alla musica non cambia,è cambiato il modo di distribuirla e di ascoltarla, ma noi continuiamo a puntare sul terreno che sempre ci è stato più congeniale, il live.
Il punto di partenza è un album maturo,che esce dopo 5 anni da Rootz ,ha logicamente un suono diverso, più eterogeneo, ci ha impegnati molto, ma molta è la soddisfazione di ripartire in quarta!!

Bunna: Sì, in effetti, ci abbiamo messo più tempo del solito. La nostra media è quasi sempre stata di un disco ogni due anni, questa volta ce la siamo presa un po’ più con calma.
Rispetto a noi,a parte questi cinque anni dall’uscita di Roots, che chiaramente si vanno a sommare alla nostra età anagrafica per il resto nulla. Non è cambiata la voglia di fare questo “lavoro”, non è cambiato l’entusiasmo con il quale affrontiamo i concerti,non sono cambiati i nostri punti e le nostre distanze rispetto a quello che noi abbiamo sempre dichiarato. Ci siamo sempre definiti un gruppo che ha preso ispirazione da un genere”lontano”, come il reggae, ma che ha sempre cercato di trovare degli elementi per farlo sempre più nostro. Intorno a noi molte cose sono cambiate e stanno ancora cambiando, non ultima la fruizione della musica da parte della nuova generazione, cosa questa che ci ha fatto riflettere e considerare strade forse, da noi, poco esplorate fino ad ora.

Un disco ricco nei testi come in ‘Riflessioni’ dove esprimete chiaramente un dissenso verso il misticismo e l’ icona religiosa del reggae; una scelta coraggiosa…

M: Una scelta consapevole che non esprime tanto un dissenso quanto un ”prendere le distanze ”da determinati cliché del mondo del reggae che poco ci rappresentano. La nostra è una scelta atea, sociale e italianissima. L’ortodossia è sinonimo di troppo poca libertà, recita il testo. Direi che questa è la frase simbolo di Riflessioni.

B: Forse da fuori può sembrarlo. Ma,dal nostro punto di vista, tutto quello che diciamo in quel pezzo sono cose assolutamente risapute da chi segue e conosce gli Africa, negli anni.
Già in altri brani come Mr. Time, In Nomine ecc… non abbiamo fatto segreto della nostra posizione rispetto al misticismo, niente di nuovo quindi. In questo brano abbiamo voluto, ancora una volta, dire la nostra su tutta una serie di cose solitamente legate all’immaginario del reggae che non abbiamo mai condiviso e frequentato. Noi ci siamo innamorati di questa musica, oltre che per il ritmo, anche per la sua attitudine “rivoluzionaria”, Marley ci ha insegnato ad usare la musica per dire delle cose. Noi pensiamo sia importante parlare di cose che ci appartengono, cose che fanno parte della nostra realtà. Pensiamo non abbia senso abbracciare tutto il mondo legato ad un genere, a priori, ognuno deve essere credibile e coerente con se stesso.

Il disco è stato anticipato dal singolo e video ‘L’Esercito con gli occhiali a specchio’, perché la scelta è ricaduta su questo brano?

M: Perché è un brano legato ad un aspetto della nostra cultura che a volte diventa un po’ inquietante…l’autoreferenzialità espressa in un certo uso dei social media, la sostituzione del reale con il virtuale, la solitudine di un mondo popolato da centinaia di amici per cui è  importante solo spiarsi il profilo piuttosto che guardarsi negli occhi. Il testo ha preso spunto da un  reportage di quit the doner, presente nel suo libro Quit Italy, interessante ed ironico spaccato della nostra Italia moderna.

B: La scelta di questo primo singolo è dovuta semplicemente al fatto che ci piaceva l’idea di esprimere la nostra concezione della rete e dei social network. Questo il motivo per cui abbiamo fatto precedere, all’uscita del brano, una campagna che abbiamo chiamato Social Re-Evolution dove abbiamo espresso in dieci punti la nostra visione sull’ utilizzo di questi nuovi media, che il più delle volte paradossalmente pur essendo “social” generano isolamento e solitudine. La realtà,secondo noi, è qualcosa che va vissuto sulla propria pelle non stando seduti davanti ad un computer, semmai i social possono servire a comunicarla agli altri ad amplificarla, ma niente di più!

Arrivati a questo punto della vostra popolarità avete deciso di regalare il disco con il free download, è una forma di dissenso contro questo sistema?

M: NO, una scelta logica che tiene conto dell’evoluzione del rapporto tra pubblico e musicista,del cambiamento tecnologico e infine anche della nostra esigenza di far circolare al massimo questo prodotto,affinché possa potenziare il pubblico sui vari live che faremo questa estate su tutto il nostro territorio.

B: Assolutamente no! La nostra è stata semplicemente una scelta finalizzata alla libera circolazione della nostra musica affinché, potenzialmente, più gente possibile potesse affollare i nostri concerti. La dimensione del concerto è quella che più ci rappresenta quella dove ci troviamo più a nostro agio e poi, per fortuna, le sensazioni che si provano assistendo ad un live non sono copiabili, non è la stessa cosa vedere un concerto su Youtube, i concerti vanno vissuti sotto il palco. Questo è anche il motivo per cui abbiamo rifiutato proposte di una distribuzione “classica”. I dischi e, da fine maggio i vinili de “Il Punto di Partenza” si trovano solo al merchandise durante i concerti, lì vogliamo il nostro pubblico, sotto il palco.

Un disco ricercato anche nelle sonorità, non solo ritmi in levare ma anche molta elettronica o anche ritmi di classica contemporanea come nel brano ‘L’attacco alla corda’…

M: La collaborazione con Architorti si rinnova in questo disco sui brani come La teoria, Cyclop e specialmente L’attacco alla corda. Mi piace molto questa dimensione, 200 archi sovraincisi da tre persone, Marco Robino, Marco Gentile e Paolo Grappeggia e 4 pianoforti, alcuni programmati altri suonati da me, per dare una veste inedita ad un brano importante come l’attacco al tasto che proprio parla dell’iter dello studio del pianismo classico  e lo paragona alla vita stessa con le sue difficoltà, le sue battaglie ed il modo per aggirarle e vincerle attraverso impegno ed applicazione costante.

B: I dischi degli Africa, hanno sempre contenuto episodi musicali anche distanti tra loro, possiamo dire che sia, ormai, una nostra caratteristica..Io e Madaski che da sempre tiriamo le fila del progetto siamo molto diversi sia per gusti, ascolti ed attitudine. La relazione tra queste due anime dà come risultato il gusto musicale degli Africa sempre in equilibrio tra i canoni del genere e gli sconfinamenti più svariati. Con gli Architorti abbiamo già, in passato condiviso un progetto “Corde in Levare” con il quale abbiamo portato in giro per una ventina di situazioni il repertorio degli Africa riscritto e reinterpretato dal maestro Marco Robino (ideatore e leader del progetto Architorti) in chiave “classica” dove, sul palco,Madaski si occupava della direzione dell’orchestra ed io, con non poche difficoltà, cantavo cercando di trovare degli appigli ritmici ed armonici di cui, il più delle volte,nella trascrizione erano parecchio aleatori. Il risultato è stato uno show molto intenso ed emozionale che anche il nostro pubblico più ortodosso ha accettato di buon grado.
Questo è il motivo per cui anche questa volta abbiamo chiesto al maestro Robino ed al maestro Marco Gentile (nostro attuale chitarrista,nonché altra mente creativa del progetto Architorti) di fare una libera trascrizione di un brano. Ha fatto questa cosa sovraincidendo un’infinità di volte le parti dei vari archi fino ad arrivare a più di duecento tracce. Un’orchestra virtuale che suona a tutti i livelli come una reale.

Dopo quasi trentacinque anni di carriera musicale cosa è cambiato nella musica reggae in Italia?

M: Passo volentieri questa risposta a Bunna che è più interessato alla musica reggae di me. Io tendo a non fare troppe distinzioni di genere. Music is Music… lo diceva pure Marley…

B: Sicuramente, da quando abbiamo cominciato noi, molte sono le cose che sono cambiate. Prima fra tutte il pubblico. Una volta il pubblico del reggae era molto connotato, si vestiva in un certo modo aveva un modus vivendi comune ecc…, oggi, per fortuna il pubblico si è allargato molto ed è un pubblico che non ascolta solo un genere è un pubblico che segue ed apprezza la musica in generale. Le situazioni che si sono avvicendate in questi anni in Italia, come gruppi e festival dedicati, hanno sicuramente fatto crescere “la scena” sia dal punto di vista di chi la musica la segue che anche di chi la produce. Gruppi come gli Africa, i Sud Sound System, i Pitura Freska ecc… E festival come il Rototom Sunsplash si possono ritenere “colpevoli” della diffusione del genere. Oggi, anche la tecnologia, aiuta i musicisti. I dischi si possono fare in casa e la qualità è ormai tutt’altro che pessima.
Noi abbiamo sempre cercato di mantenere con la musica quell’approccio che ci ha insegnato Marley, cioè usare la musica per dire delle cose, veicolare dei messaggi. Ci siamo, col tempo, resi conto di quanto fosse importante cantare in una lingua che il nostro pubblico potesse capire. Oggi, soprattutto dopo Alborosie, nascono gruppi che cercano di rivolgersi ad una platea più allargata, europea,internazionale, da qui’ la necessità di usare, quella che sembra ormai essere, la lingua ufficiale del reggae, il patwa. E’ questione di scelta, noi abbiamo sempre voluto rivolgerci ad un pubblico, perlopiù italiano, anche se non mancano nel nostro repertorio anche pezzi in inglese.

Il vostro sogno nel cassetto?

M: Una Musica Italiana Internazionale!!!

B: Continuare a fare quello che facciamo, con la stessa voglia ed entusiasmo e con lo stesso supporto del pubblico che abbiamo avuto finora. Tutto qui!