IntervisteSliderWorld music

Tra rock e contaminazioni: intervista a PEPPA MARRITI BAND

Ciao Peppa Marriti, iniziamo con la prima domanda: perché la scelta di questo nome?
Peppa Marriti, che il suo vero nome era Diacono Atanasio, era un signore di mezza età che viveva a S Sofia d’Epiro, il paese dove si è formata la band. Era un falegname molto bravo ma spesso esagerava nel bere alcol e così la comunità a volte lo emarginava. Nelle sere d’estate ci incontravamo nelle notti “sofiote” a parlare di fumetti e di tanto altro. L’idea di dare il nome alla band è stata quella di dare nome a quelle persone che vivono ai margini della nostra società e che spesso vengono messe da parte. Dare voce a chi non ha voce, agli ultimi, agli emarginati e a tutti quelli che per un motivo o un altro, cadendo, non riescono a rialzarsi.

Da poco è uscito il vostro nuovo album, come è stato concepito?
Niente di particolare, avevamo qualche nuova canzone e abbiamo pensato di realizzare il terzo disco della band. Ci vediamo spesso con il resto della band per il piacere di stare insieme e quindi è stato del tutto naturale pensare al nuovo disco. Di solito si arriva in sala prove con qualche giro di accordi o qualche linea melodica e insieme si crea la canzone; spesso non ci troviamo d’accordo per il fatto di essere molto diversi come gusti musicali ma alla fine si trova un punto d’incontro dove confluiscono le idee di tutti.

Il gruppo ha cambiato in modo frequente l’organico. Qual è quello attuale?
Non proprio in modo frequente, anche se ci sono stati cambiamenti dalle origini, ma negli ultimi anni abbiamo trovato un buon equilibrio tra noi. Quello attuale è con Angelo Conte/voce e chitarra acustica, Demetrio Corino/basso, Antonio Castrovillari/chitarra elettrica, Pino Murano/violino e Francesco Greco/Batteria.

Perché la scelta di utilizzare la musica per tutelare una minoranza italo-albanese?peppa marriti ajeret
Perché la musica è un collante dove confluiscono più persone e da la possibilità di condividere idee e sensazioni. Il periodo che stiamo vivendo è molto triste perché i giovani parlano poco la lingua Arbëreshë e tramite la musica rock proviamo a riavvicinarli a questa lingua arcaica, presente da più di cinque secoli. Inoltre le canzoni restano nel tempo ed è un modo di portare avanti una cultura che ormai è in grande difficoltà a mantenere l’uso della lingua.

La vostra musica ha una matrice rock con contaminazioni popolari e autoctone albanesi. Perché la necessità di contaminare?
Non è stata una necessita ma la normalità di amare un genere musicale quale il Rock ed esprimere ciò che viviamo quotidianamente in un piccolo centro di provincia. Fin da piccoli abbiamo conosciuto i canti tradizionali e popolari che oggi si usano sempre meno, così capita spesso di interpretarli in modo più moderno e contemporaneo con una formazione tipicamente rock e in questo disco ci sono dei canti tradizionali rivisitati in chiave moderna.

Cosa ne pensate della musica in Italia? Voi riuscite attualmente a vivere con questo lavoro?
Fare musica in Italia è difficile perché c’è un sistema che non dà spazio alla musica emergente e indipendente. Le play list dei network radiofonici sono fatte dalle stesse major che spingono i loro prodotti commerciali. Per noi è ancora più difficile perché viviamo in Calabria, dove non c’è niente che possa aiutarti e inoltre cantiamo in una lingua minoritaria sconosciuta. Noi tutti nella vita facciamo altro, per noi la musica è una passione forte che ci dà la possibilità di esprimere ciò che sentiamo. Magari potessimo vivere con la musica, sarebbe fantastico ma purtroppo non è possibile. Ma questo non significa rinunciare a suonare, anzi noi vogliamo portare a conoscenza di più persone possibile, la presenza della nostra cultura arbëreshë perché siamo convinti che il mondo ha un solo futuro cioè creare una società di individui diversi tra loro ma che vivono insieme rispettando le diversità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *